L’essere umano è un animale social? Una riflessione sull’influenza dei social e della tecnologia sulla nostra salute mentale. Ne parla Giuseppe Lavenia nel podcast Sigmund

L’essere umano è un animale social? Una riflessione sull’influenza dei social e della tecnologia sulla nostra salute mentale. Ne parla Giuseppe Lavenia nel podcast Sigmund

L’essere umano è un animale social? Una riflessione sull’influenza dei social e della tecnologia sulla nostra salute mentale. Ne parla Giuseppe Lavenia nel podcast Sigmund

Giuseppe Lavenia (psicologo e psicoterapeuta, nonché presidente dell’Associazione Nazionale Di.Te. – Dipendenze Tecnologiche, GAP e Cyberbullismo) e Daniela Collu in questa puntata di “Sigmund”, un podcast prodotto da il Post e disponibile integralmente su Spotify (ascolta qui), affrontano le conseguenze della rivoluzione tecnologica che ha invaso la nostra vita e gli effetti dei social network sulla nostra salute mentale.

Prima di concentrarci su alcuni punti salienti della conversazione, ci teniamo a sottolineare che il nostro approccio non è mai allarmistico, pertanto l’obiettivo non è quello di demonizzare i social network che non mancano ovviamente anche di avere degli aspetti positivi, quanto piuttosto continuare il nostro percorso di riflessione, in linea con l’obiettivo del podcast e, nello specifico, dell’episodio che abbiamo ascoltato, che è quello di creare consapevolezza e strumenti utili alla riflessione sul rapporto tra uomo e tecnologia, in particolare in relazione all’uso dei social network.

Come è cambiata la nostra vita da quando ne viviamo una anche online? Alcuni effetti

Lavenia spiega come i cambiamenti apportati dalla tecnologia siano molteplici e profondi. Uno dei segni più evidenti dell’impatto della tecnologia e dell’avvento dello smartphone e dei social ha a che fare con la nostra capacità di attendere: i dispositivi digitali sono, oggi più che mai, strumenti antinoia con il potere di renderci compulsivi, innescando un desiderio sempre maggiore di usufruirne in misura sempre più frequente.

Per comprendere meglio questo primo assunto è bene sapere che alla base del funzionamento di questi strumenti c’è il c.d. principio dopaminergico, il meccanismo (sul quale si basano anche le dipendenze) che innesca un effetto gratificante e piacevole sul soggetto a seguito, in questo caso, dell’utilizzo dei social network e che spinge gli individui a controllare ossessivamente il cellulare in attesa di notifiche: ogni volta che mandiamo un messaggio o carichiamo un contenuto, l’attesa di un feedback infatti attiva la dopamina, il neurotrasmettitore che media proprio il senso di gratificazione, piacere e ricompensa.

I social network sfruttano questo meccanismo intermittente, caratteristica ancestrale del nostro cervello, per creare assuefazione e compulsione che portano di conseguenza a un aumento dei tempi di utilizzo.

Un altro effetto dell’uso della tecnologia è la progressiva perdita di memoria, in particolare quella transattiva, una forma di memoria interdipendente tipica dei contesti collettivi e che genera conoscenza condivisa. Affidandosi in misura maggiore alla tecnologia per cercare informazioni online, gli individui dimenticano di conseguenza informazioni che un tempo avrebbero conservato, riducendo quindi anche la percezione di fiducia nelle proprie conoscenze.

Come cambia l’effetto dei social sulla nostra psiche in base all’età?

L’uso smodato della tecnologia ha effetti differenti a seconda dell’età dell’utente. Nei giovani, un uso scorretto della tecnologia può essere influenzato a monte da un comportamento iperprotettivo da parte dei genitori che, come avevamo già scritto qui, attribuiscono allo smartphone una funzione di controllo delle attività che svolgono i propri figli, e si affidano alla percezione di sicurezza ingannevole scaturita dall’idea che grazie allo smartphone si riduca in qualche modo il rischio di incappare in pericoli, a scapito del patto di fiducia che dovrebbe invece stabilirsi nella relazione genitore-figlio.

In una fase della vita in costruzione, come nel caso dei più giovani, l’effetto del rapporto con la tecnologia e con i social non è solo una questione psicologica, ma anche di corpo, perché nel rapporto con i device si coinvolge anche il sistema sensoriale e, nel corso del tempo, l’esposizione continua al digitale produce cambiamenti delle mappe neuronali che portano a una maggiore reattività e, di conseguenza, alla difficoltà di fermarsi e stare nelle situazioni. In questa dimensione di ipervelocità, il pericolo per i più giovani è quello di non acquisire gli strumenti per gestire le difficoltà o gli strumenti affettivi e relazionali, perché è più facile “staccare la spina” e distrarsi, allontanandosi dai propri stati emotivi.

Cosa possono fare i genitori?

Lavenia sottolinea che l’uso della tecnologia tra i più piccoli deve essere mediato dalle figure di riferimento, in particolare, i genitori, essendo loro innanzitutto di fatto a introdurre per primi gli strumenti tecnologici nella vita dei figli, affinché non diventi per i ragazzi l’unica modalità di stare nel mondo. Ma è innanzitutto necessario che i genitori mettano in discussione le proprie premesse: per far funzionare il dialogo è necessario dimostrarsi interessati a una realtà che fa a tutti gli effetti parte dei vissuti quotidiani.

Il problema delle dipendenze tecnologiche è che non sono ancora strutturate in modo univoco ed è complesso capire quando è il momento di “allarmarsi”. Inoltre, parlare di dipendenza patologica e associarla a bambini e ragazzi adolescenti che si trovano in una fase della vita di continuo divenire, può essere addirittura più pericoloso.

Ricapitolando, le evidenze sul rischio di sviluppare un uso eccessivo e scorretto delle tecnologie che potrebbe trasformarsi in disorder esistono, anche se sono ancora molte le domande a riguardo, questo perché in un mondo che ha subito un’accelerazione così veloce abbiamo a che fare con una diversità strutturale che evidenzia innanzitutto la necessità di incrementare le attività di educazione digitale e promozione del benessere.  

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